LETTERA APERTA AI CANDIDATI A SINDACO
Grande è la confusione sotto il cielo di Roma e il futuro della Capitale è pericolosamente in bilico sull’orlo di un declino senza ritorno.
La scelta di accettare le sollecitazioni per una mia candidatura a sindaco è stata per me determinata dall’assunzione di una responsabilità che deriva dalla conoscenza delle difficoltà e delle opportunità che esistono per chiunque voglia governare questa città. Conoscenza fondata su un’esperienza intensa, che non si è interrotta con la fine traumatica del mio incarico di assessore.
Non c’è nella mia decisione ricerca del potere o ambizione che non sia quella di svolgere un servizio utile e necessario. Ed è in questo spirito che mi rendo conto dei rischi che si profilano per la scadenza di maggio, alla luce del modo in cui si sta avviando la campagna elettorale.
Ho declinato l’invito rivoltomi a sottopormi alle primarie del Pd spiegando che, per come sono concepite, rappresentano un metodo di selezione determinato da logiche di apparato (un “congresso mascherato” le ha definite qualcuno dall’interno dello stesso partito), metodo assolutamente legittimo ma incapace di realizzare quel processo di allargamento, inclusione e rappresentatività indispensabile non solo per vincere ma, soprattutto, per governare.
Questa mia osservazione, che non vuol rappresentare un’invasione di campo ma una pura constatazione, sembra trovare un crescente riscontro da parte degli addetti ai lavori e di vasti ambienti che nel Partito Democratico si riconoscono.
Le minacce che si profilano per questa delicata fase sono state evidenziate da firme autorevoli di altrettanto autorevoli quotidiani, sono poi state denunciate in un documento sottoscritto da numerosi esponenti della sinistra romana, ma credo di poter aggiungere che sono avvertite dai cittadini ben oltre i confini di quest’area politica.
La definitiva crisi dell’esperienza di Alemanno, di cui ho condiviso una porzione di responsabilità, è anche l’allarmante segnale di crisi di una stagione, le cui avvisaglie erano chiare proprio nel voto che spinse la maggioranza dei romani a esprimersi per la discontinuità.
Alla dimensioni di questa crisi, al sostanziale collasso del sistema-Roma non si può rispondere con regole e atteggiamenti che appartengono ad una modalità della politica ormai esaurita. Lo stallo prodotto in parlamento dalle recenti elezioni ne è la prova, così come il successo di un nuovo soggetto che raccoglie, in mancanza di altre significative proposte, il disorientamento del corpo elettorale.
Non sta a me giudicare la qualità di noi che, candidandoci, abbiamo deciso di esporci, con le nostre facce, con le nostre vite, per un compito che si presenta ricco solo di difficoltà forse insormontabili. Registro però il crescente timore che, al di là della scelta di un nome, manchi ancora la proposta di una soluzione all’altezza della sfida.
Chiedo dunque a chi ha deciso di candidarsi alle primarie del Pd o chi, come Alfio Marchini e Sandro Medici, ha come me scelto un profilo indipendente e civico, di incrociare per un momento questo nostro percorso parallelo per ragionare insieme (e soprattutto insieme alla più vasta comunità degli elettori) sulla possibilità di individuare una traiettoria diversa, partendo dalla rinuncia ad ogni legittima, personale ambizione, liberandoci da ogni vanità. Ritengo sia nostro dovere fermarci ad ascoltare i segnali di allarme che ci arrivano e tentare un gesto di responsabilità prima che il vortice della campagna elettorale ci trascini in forme di concorrenza riduttivamente polemiche.
Io sono in campo e difendo le prerogative mie e di chi mi sostiene, ma non ritengo quello che sto percorrendo un cammino obbligato, credo che se troveremo insieme un momento di pausa, in queste concitate giornate, per verificare quanto di comune c’è nelle nostre posizioni e mettere a disposizione della città le nostre individuali scelte, avremo reso un servizio straordinario e, forse, contribuiremo ad evitare una catastrofe che si annuncia sempre più prossima.