In un libro di Francesco Erbani la guida per comprendere il declino della capitale
UMBERTO CROPPI SU HUFFINGTON POST
Roma. Il tramonto della città pubblica è il titolo della ricerca, per metà inchiesta sul campo, per metà ricognizione della letteratura relativa al saccheggio del territorio romano.
Una storia che ha radici antiche, nell’Italia del boom, col massiccio fenomeno di inurbamento indotto dalla trasformazione economica e sociale, la fine della società rurale, il mito del posto fisso.
E’ in quegli anni che si affermano i grandi gruppi dell’edilizia, le famiglie di “palazzinari” che costruiscono dal nulla le proprie fortune. Una crescita caotica, con un diffuso abusivismo tollerato e in molti casi incentivato, per una città che registra una sensibile crescita demografica. Ma la vera svolta è quella che avviene a cavallo del nuovo millennio quando, al contrario, la popolazione della città è stabilizzata, se non addirittura in riflusso e non si giustifica più un aumento del costruito.
E’ sul finire della giunta Rutelli, col tradimento degli impegni presi nel primo mandato (denunciata dal primo assessore ai trasporti nonché vice-sindaco di Rutelli, Walter Tocci) e poi con il sindaco Veltroni e il suo piano regolatore che si definiscono vere e proprie regole per l’accrescimento sproporzionato del patrimonio edilizio e la diffusione della città oltre limiti logici e fisiologici.
Una crescita pulviscolare accompagnata dall’introduzione della logica delle “compensazioni”, che trasforma la speculazione fondiaria in diritto, elemento fondativo per la nuova urbanistica. Una cessione costante di porzioni di sovranità pubblica a favore di interessi privati, insieme all’affermarsi di pratiche mascherate da “project financing” che trasferiscono a imprese (sempre le stesse) il controllo di aree, immobili, servizi, fin dentro il cuore della città.
Una crescita non più spontanea ma programmata di nuclei abitativi senza infrastrutture, senza trasporti, che anzi, per come sono strutturati, non potranno mai essere connessi in maniera efficiente alla rete urbana dei servizi.
Quella ereditata da Alemanno è una situazione ormai ampiamente compromessa ma il nuovo sindaco e il suo management non mostrano di avere strumenti culturali e autonomia politica per modificarla: l’acquiescenza nei confronti della speculazione si acuisce e, invece che invertire il processo, se ne accelerano gli esiti più deleteri.
E’ un quadro desolante quello che ci descrive Erbani, con un corredo di cifre, riferimenti puntuali, opinioni di esperti. Un disastro che ormai ha superato il punto di non ritorno, un orizzonte da cui è scomparsa ogni capacità di programmare e dare indirizzi: la fine della funzione di governo, del ruolo del pubblico, appunto, che si arrende ogni giorno di più a interessi particolari, senza neanche svolgere un’azione di coordinamento.
Una denuncia documentata e comprensibile che – temiamo – si aggiungerà al numero di quelle che si sono succedute senza lasciare una vera traccia, senza modificare assetti, equilibri, carriere. Un lavoro tempestivo, si diceva, che arriva giusto alla vigilia di un’importante scadenza elettorale, potrebbe essere una bussola utile ai disorientati elettori della capitale, un manuale per scegliere non tanto a chi dare il voto ma sicuramente a chi non darlo.